In Sicilia ogni festa ha il
suo peculiare aspetto gastronomico. Quella di Pasqua detiene il primato per la
varietà dei pezzi che vengono prodotti sia nelle famiglie come pure dalle abili
mani dei pasticceri, degni successori delle suore che anticamente nei monasteri
siciliani, di cui 21 nella sola Palermo e particolarmente nel monastero fondato
da Eloisa Martorana nel 1194, hanno dato vita alle loro specialità tutt’oggi
apprezzate e ricercate che vengono chiamate genericamente “ li cosi duci di li
batii”. E qui mi piace citare alcuni fra i più rinomati monasteri e il dolce
caratteristico in essi prodotto:
Monastero della Martorana (PA): “Frutti di pasta riali”;
Monastero di Valverde (PA): “Cassati “;
Monastero di S.Caterina (PA): “Cannola”;
monastero di Monreale (PA): “Sangunazzi “;
Badia di Alcamo (TP): “Minni di virgini gatto’“;
Abbazia delle Benedettine di Santo Spirito in Agrigento: “Cuscusu dolce”;
Convento di S.Carlo di Erice (TP): “Biscotta rizzi o mustazzoli”;
Monastero di Sciacca (AG): “ Cucchiteddi”;
Convento di Mezzoiuso (PA): “‘mpanateddi”;
Badia del S.Rosario di Palma Montechiaro (AG): “Bocconcini”;
Monastero delle benedettine di S.Michele di Mazara del Vallo (TP): “Bocconcini”.
Quando finiscono le feste di Carnevale con la condanna al rogo del Re burlone e
i tamburelli smettono di accompagnare con il loro suono le frenetiche tarantelle
popolari ha inizio la Quaresima che una nota quartina garrese cosi
annuncia:
“Carnevali, votinni a Miniu lassimi fari a Santa Quarantana e vinni Pasqua cu
lu beni miu li cassateddi cu la maiurana”.
Primo fra tutti i dolci pasquali merita di essere citato “il quaresimale”,
specialità della città di Acireale, mentre i “cassateddi di ricotta” vengono
confezionati a Zaffferana Etnea, Nicolosi e Vizzini, centri dove la materia
prima si trova di ottima qualità ed in abbondanza.
Altro dolce è “l’agneddu pasquali” che, a seconda della località, assume le
forme più diverse.
A San Fratello, come pure a Licodia Eubea, “ l’agneddu” viene confezionato con
pasta forte e decorato con una patina di zucchero ( “liffia”), perline argentate
e cimino.
Sempre l’agnello pasquale a Bagheria presenta un particolare: mentre in tutti
gli altri centri l’agnello ha dimensione unica e viene chiamato comunemente
“agneddu pasquali”, nella cittadina del palermitano si ha un gruppo di agnelli
di varia misura di cui uno più grande definito “agneddu pasturali”.
Ad Avola “l’agneddu” viene confezionato in pasta di garofano con l’applicazione
di pezzetti di carta velina in colori vivaci e viene chiamato “incanniddatu”.
Ad Agrigento e a Palma di Montechiaro “l’agneddu pasquali” viene confezionato
con molta raffinatezza rispettivamente nei conventi delle suore di Santo Spirito
e delle suore del SS.Rosario.
Sempre nell’agrigentino, a Favara, l’agnello viene confezionato in pasta di
pistacchio e pertanto assume un colore più scuro di quelli in pasta di mandorla,
con delle sfumature rosse azzurre.
A Erice l’agnello è appiattito come un pane ed è ripieno di cedrata, come lo
confezionavano le Suore nel convento di S.Carlo e, dopo la chiusura di questo,
lo continua a confezionare la Sig.ra
Maria Grammatico nel laboratorio della sua rinomata dolceria.
A Palermo, Messina, Agrigento, Catania, Acireale ed in altre città, “l’agneddu”
viene realizzato in pasta reale e sistemato dentro un cesto ben guarnito di
frutta di pasta martorana.
Passando ai pani, voglio partire dalla festa di S.Giuseppe, che prelude alla
Pasqua, perché in tale occasione molti sono i paesi dove si approntano i famosi
“Altari delle tre Persone” o “Cene” e precisamente: Vita, Salemi,
Ghibellina, Partanna, Valguarnera, Leonforte, Agira, Modica, S.Croce Camerina,
Raddusa, Militello in Val di Catania e Ramacca. Gli altari sono generalmente
costituiti da assi di legno disposte a gradino e ricoperte da bianche tovaglie
di lino.
La parete interessata è addobbata con un copriletto di pizzo o con un drappo su
cui fa spicco un quadro raffigurante la Sacra Famiglia. Ai piedi dell’altare
sono posti tre grandi tavoli che sono destinati alla mensa su cui vengono
disposte pietanze varie in misura di tre per ogni specialità, nonché primizie di
frutta ed ortaggi; molte le frittate e vi si trova anche il pesce ma
assolutamente niente carne.In particolare a Ramacca si usa appendere al quadro
della Sacra Famiglia tutti gli oggetti d’oro di proprietà del padrone di casa e
dei suoi parenti stretti.Sull’altare sono collocati i pani figurativamente
modellati in varie forme simboliche. In alto, in posizione centrale, è un mazzo
di spighe od un ostensorio raggiato “spera” o “sacramentu” tutti di pane e
cosparsi di papaverina; sulla parte bassa dell’altare sono i pani che vengono
generalmente offerti ai tre Santi: a S.Giuseppe il bastone, alla Madonna la
palma ed a Gesu’ Bambino la croce. Ma non mancano altri pani raffiguranti parti
del corpo del Santo Protettore (la barba e la mano) oppure i ferri del suo
mestiere (la tenaglia, il martello, la sega) e ancora angeli, astri, animali,
frutta e fiori. Su tutto campeggiano i cosiddetti “cucciddati”, grosse ciambelle
dal peso variante dagli otto ai dieci chili. L’usanza vuole che gli altari
vengano apparecchiati nella mattinata della vigilia e visitati nel pomeriggio
fino a tarda sera. L’indomani, giorno della festa di S.Giuseppe, alle ore 12 in
punto, il capofamiglia, invitando alla mensa dapprima tre persone scelte tra i
“poveri” del paese e a seguire i parenti ed i presenti, da’ inizio al banchetto
recitando una preghiera di ringraziamento (“Dittu”) che Raddusa è la seguente e
viene ripetuta tre volte:
Accantu accantu c’è l’angilu santu
Nomini Patri, Figghiu e Spiritu Santu
Biniditta la Cena biniditta la Maddalena
Cala Gesuzzu ccu la vera luci
Mangiamu tutti ca è fatta la cruci.
Oltre ai pani di S.Giuseppe, meritano di essere menzionati i pani della Passione
o degli Apostoli che si confezionano a militello Val di Catania, Raddusa, Gela e
Gangi.In quest’ultimo paese la tradizione del pane è molto sentita: ad esso si
dedica una festa particolare “la festa della spiga” nel corso della quale
numerosi carri senza ruote chiamati “sbravola” trainati da buoi scorrono in
corteo per le vie del paese adornati da “ l’albero del pane “ che raffigura un
albero le cui fronde sono
realizzate con un artistico intreccio di spighe.”Gli Archi di Pasqua” vengono
realizzati dalle confraternite dei “Signurara” e “Madunnara” per il giorno di
Pasqua davanti la chiesa madre di San Biagio Platani. Detti Archi adornati di
pane in varie forme confezionati, di arance, datteri rosmarino e tanti altri
elementi decorativi, costituiscono il punto d’incontro dei simulacri del Cristo
risorto e della Madonna. Ma i pani più ricchi sono quelli con le uova che,
seconda delle località assumono differente denominazione come “cannillieri” ad
Avola, “Cannatuna” o “ Cannateddi” a Prizzi e Salemi, “Campanari” a Erice e a
Mazara del Vallo, “Varate” a Mistretta”, “Cavagneddi di Pasqua” a Cassaro,
“Panareddi” a Caltagirone, “Ciciuliu” a Belpasso, Bronte, Adrano e
Valguarnera, “Cuddari cu’ l’ova” a Giarre, ” aceddi cu’l’ovu” a Catania.
La cuddura cu’ l’ovu rappresenta un prezioso veicolo di rapporti sociali. In
alcuni centri, specie nell’interno dell’isola, “a cuddura” era d’obbligo e
seguiva preziose regole fra parenti, amici e compari.
Il numero delle uova e quindi la grandezza dimostravano l’affetto o il grado di
parentela o anche l’obbligo che chi donava sentiva verso chi riceveva; al padre
veniva riservata “ a cuddura” più grossa, perlomeno con un uovo in più rispetto
a quelle degli altri; insomma, maggiore era il rispetto più alto corrispondeva
il numero delle uova.
Caratteristica era ed è ancora in piccoli centri ”a cuddura “ che la fidanzata
regalava al fidanzato e che conteneva tante uova quanti erano gli anni di
questo, che a sua volta ricambiava regalando un “agneddu” alla sua ragazza.
Desidero concludere con la tipica espressione popolare che per dimostrare che è
proprio fortunato chi di una data cosa ha disposto in tempo utile così si
esprime:
“Cu nnappi nnappi di cassateddi i Pasqua”.
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